Quello del prelievo forzoso sui conti correnti è un tema che genera particolare scalpore nei correntisti italiani, e che spesso è associato a confusione e a superficialità nell’analisi di un tema che è in realtà un po’ più complesso, e meno prevedibile, di quanto si possa pensare.
Eppure, negli ultimi giorni tale materia è tornata prepotentemente di moda, complice la votazione di un gruppo di documenti provenienti dalle istituzioni di Bruxelles e, tra di essi, la direttiva Europea 2014/59/UE, diramata dal Parlamento Europeo lo scorso 15 maggio 2014. Ma per quale motivo?
In linea sostanziale, la direttiva comunitaria istituisce un “quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”, prevedendo che possa (non “debba”!) avvenire il ricorso al tanto temuto bail-in, quale strumento potenziale di risoluzione di situazioni di criticità degli enti di credito negli Stati che hanno ratificato il documento di Strasburgo, come l’Italia. In termini meno sintetici, il bail-in è quello strumento secondo cui le banche che finiscono in condizioni di dissesto, possono ricorrere al tanto temuto prelievo forzoso sui conti correnti in deposito, quale via alternativa anziché ricorrere a aiuti esterni da parte dello Stato o della Banca centrale europea.
Pertanto, per lo meno da un punto di vista teorico, una banca in crisi potrebbe scegliere di attingere dai soldi depositati dai propri correntisti (quale soluzione interna prevista dal bail-in) in alternativa al ricorso a fondi terzi. La direttiva – che annunciata in tali termini potrebbe creare un po’ di giustificati timori – in realtà prevede, ma solo a partire dal 1 gennaio 2016, che la banca possa effettivamente assorbire una parte del denaro in conto corrente a patto che il saldo del rapporto sia superiore ai 100 mila euro.
Dunque, dobbiamo realmente avere paura che i nostri soldi in banca siano poco sicuri? La risposta è certamente negativa. L’Italia sta infatti ratificando un provvedimento ben presente anche in altri mercati internazionali (dove le soglie sono tra l’altro ben inferiori ai 100 mila euro, che è altresì il limite di rimborso in caso di default dell’istituto di credito). I casi di applicazione sembrano inoltre essere molto limitati, e riservati ai casi in cui una banca si trovi a fronteggiare delle perdite troppo elevate, e non riesca di fatto ad ottenere ulteriori risorse. Insomma, uno spauracchio teorico, ma un fuoco di paglia pratico. Almeno per ora.
E voi che ne pensate? Dormite sonni tranquilli a depositare i vostri soldi in banca?